Diaby Aboubacar intervistato dal giornale ” La Repubblica “

Abù, dal barcone fino al Licata “Ho avuto paura, ora sono felice”

di Fabrizio Bertè Il suo è stato un cammino lungo e sofferto. Ha dovuto affrontare prima la paura del deserto, poi le avversità della Libia, infine il mare, una tomba per tanti suoi fratelli. Un viaggio tra la vita e la morte che Aboubakar Diaby, che tra 2 mesi compirà vent’anni, è riuscito a portare a termine con le lacrime amare di chi aveva lasciato in Costa d’Avorio la famiglia e gli affetti, e con la speranza di chi coltivava un sogno: diventare un calciatore. Oggi Abù, come lo chiamano gli amici, a Licata è l’idolo dei tifosi, e su di lui si sono accesi da tempo i riflettori di diverse società professionistiche, sia in Italia che all’estero: « Sono nato in un piccolo villaggio a Daloa – racconta il giovane – ho iniziato a giocare a calcio da bambino, in campagna, ma papà preferiva vedermi sui libri. Sono il più grande di cinque fratelli, e dopo aver terminato la scuola ho detto a mio padre che avrei voluto fare il calciatore. Ma i soldi erano pochi e sapevo che la strada era solamente una, complici anche i conflitti politici che c’erano in Costa d’Avorio: cercare fortuna in Europa. E così ho preso un furgone assieme a tanti miei connazionali, attraversando Mali, Niger e Burkina Faso, fino alla Libia ». E proprio in Libia, il giovane, allora sedicenne, ha passato il periodo più duro: «Avevo paura, e dovevo cercare un modo per arrivare in Europa. Ho avuto la fortuna di conoscere un signore anziano, maliano, che mi ha permesso di lavorare con lui. Ho fatto il muratore. Lui mi pagava, mi faceva dormire a casa sua e mi dava da mangiare. In sei mesi ho raccolto la cifra necessaria per pagarmi da solo il viaggio in barcone, l’ho comunicato ai miei genitori, che da quel momento hanno iniziato a pregare per me ininterrottamente».
Due giorni e mezzo in mare, con oltre 100 persone avvinghiate tra loro senza cibo né acqua. E la paura di non farcela: « In molti si sentivano male, c’erano tante mamme con i loro bambini. Poi siamo stati recuperati da un’imbarcazione della Sos Mediterranee che ci ha portato in Italia, precisamente al porto di Catania. E grazie a Dio siamo arrivati tutti sani e salvi».
Aboubakar è stato portato in un centro di accoglienza per minori, e timidamente, ha iniziato a tirare calci ad un pallone nel cortile, chiedendo agli operatori di poter fare un provino: « Alfio Torrisi, tecnico dell’Aci Sant’Antonio, mi voleva tesserate subito, ma per un problema burocratico mi sono allenato per un anno senza poter giocare. Il campionato successivo, in Promozione, ho fatto 2 gol in 28 partite, raggiungendo anche i play-off». E lì lo ha notato il procuratore catanese Gianluca Virzi, che senza pensarci due volte ha subito puntato su di lui: ” È una mezzala con qualità pazzesche – dice l’agente – ma essendo extracomunitario per giocare nei professionisti è costretto a vincere un campionato di serie D, a meno che una squadra di serie A decida di tesserarlo. Lo scorso anno si è allenato tre settimane con la Sampdoria di Marco Giampaolo che aveva visto in lui grandi qualità, ma la società decise alla fine di non penderlo».
Per Abù è stata comunque un’esperienza indimenticabile. Tappa successiva, Licata, con il presidente Massimino che lo ha voluto fortemente. I risultati gli hanno dato ragione, 25 partite, presenza fissa nella Top 11 di serie D e un appuntamento con il grande calcio solamente rimandato per il giovane che vive ad Acireale assieme a due suoi ” fratelli” e sogna in grande sulle orme del suo idolo Paul Pogba. Il centrocampista ivoriano, anche durante questa quarantena forzata, si allena in casa duramente, ascolta tanta musica, soprattutto Fedez, e pensa costantemente alla sua famiglia in Africa. E tramite i social, con quel suo sorriso rassicurante, manda un bel messaggio alla “sua” Sicilia: «Il cellulare e i social network, sono gli unici strumenti che ci tengono uniti in questo particolare momento. Io ci sono abituato, perché da quasi tre anni è così che mantengo i rapporti con la mia famiglia che amo infinitamente. Non è arrivato il nostro momento – conclude Abù parlando dell’attuale momento e della pandemia – non ancora. Ci attendono tante cose da fare, tanti tramonti da vedere, le prime luci dell’alba pronte ad accoglierci e tanta bellezza da vivere. Nuove partite, nuove sfide, nuove avventure. Dopo la tempesta esce sempre il sole, ne sono certo. E presto torneremo ad amarci più di prima».
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k In campo e in famiglia Aboubakar Diaby con la maglia del Licata e, primo da sinistra, con la sua famiglia in Costa d’Avorio